martedì 16 febbraio 2021

"M’interrogo incessante sulla tua persona" di Vincenzo Maria D'Ascanio.


 

Era la Sagra del vino del mio paese. Sapete di quei rapporti tra un amico e un’amica, uno di quei classici rapporti che durano sin dall’infanzia. In giro in macchina o dovunque, a parlare e combinarne come se la tua amica fosse un qualsiasi amico, di cui la femminilità è sepolta in qualche angolo del cervello. Poi, un notte afosa sia lui che lei si vedono in un altro modo, per un attimo indefinito. Allora ti t’interroghi come sarebbe stato se... anche se non potrai più parlarne, nemmeno col lei, perché rovineresti qualcosa di bello, per andare incontro a qualcosa che non conosci.

 

"M’interrogo incessante sulla tua persona"

di Vincenzo Maria D'Ascanio.


Non so se siano stati i tuoi occhi,
forse saranno state le tue gambe,
potrei raccontarti della voce
ma parte vitale l’ha avuta il sorriso.
Qualunque elemento sia imputabile
(credo nella molteplicità delle concatenazioni),
sono avvolto da un crepuscolo afoso
e altro non posso che ricordare.

Nell’estatica notte di musica e vento
distinguevo la tua voce tra timbri sconosciuti,
ti spiegavi con parole irriconoscibili
che m’inebriavano rivoltandomi a piacimento.
Stupito t’osservavo camminare
sfinendomi tra le pieghe del vestito,
avvertivo il profumo della pelle chiara
mischiato con gli effluvi del cardo secco.

Non posso sopportare se in me
sopravvive una deflagrazione continua,
tu forse potresti disinnescarla
decisamente potresti incrementarla.
Dubbioso mi costringo a sedermi
per illuminare l’ennesima sigaretta,
spalanco la mano tra le stelle
interrogandomi incessante sulla tua persona.

Tu, atomo del grano, della vite, della terra umida
bagnata da pioggia estiva e morbida rugiada,
inondata da calda luce pomeridiana
intima avvolta da delicate lenzuola estive.
Tu, amata da conosciuti e sconosciuti,
profuga meridiana nell’isola della tua stanza,
calpestata da poveri sorsi di rugiada,
pensierosa, scalza, pazza e taciturna.
Tu, che distruggi le mie giornate,
tu, che aggredisci le mie ore,
tu, legno pregiato e anfora marina,
tu, fortezza che domina e fortezza in rovina.

Attendo una parola ma tu non parli,
mi chiedi d’andare, poi dici di fermarmi,
non mi volto, non ti volti,
forse scampo da probabili prigioni.
Attendo una risposta per quanto vaga
ma tu m’osservi spenta e inabissata,
infine mi sfiori, mi guardi, sorridi
e non dici assolutamente nulla.

Agosto 2012 #vincenzomariadascanio

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