Ho scritto questa poesia per ricordare
un periodo particolare della mia infanzia. Verso Maggio, mia madre mi portava
alle novene del di S. Antonio, e ricordo ancora quei viaggi in corriera,
insieme a tutte le altre signore devote al Santo. Io ero sempre l'unico
bambino, e qualche viaggio lo ricordo ancora come se fosse ieri...
Alle novene del Santo.
Mia madre era fermamente religiosa.
Sul finire della Primavera, a Maggio,
m’accompagnava alle Novene del Santo,
un Santo forestiero, forse agricoltore,
considerato che la Chiesa si trovava
in aperta campagna, tra i monti dell’interno.
Per arrivarvi un viaggio in corriera
tra un recinto pio di donne
puntualmente vestite di nero.
Intonavano antichi canti religiosi
per un marito estinto anni prima,
ma di cui custodivano tenaci
un indelebile e lucente ricordo.
Quei canti avevano il mistero d’un vascello
talmente potenti da scolpirmi il cuore,
e sono tuttora perfetti nella mia coscienza
come un timbro di fuoco indelebile.
Quando poi era celebrata la messa
io preferivo giocare nei campi,
tra i monti, il cielo e gli infiniti spazi
che formavano quella landa desolata.
Soltanto il vento stava ad osservarmi
e forse mormorava qualcosa,
sussurri inerti suggeriti dai monti,
presentimenti e presenze impenetrabili
chiare soltanto all’emotività di un bimbo.
Regnava la solitudine, tutto era roccioso
e nonostante volessi andarmene
restavo in muta contemplazione, attento,
ed i monti si facevano spazio
insieme ad alberi, quarzo, fiori e profumi.
Sono ancora con me in questi giorni
di contraddizioni e responsabilità,
della terra sento ancora il profumo,
avverto quei sussurri provenienti dai monti
mentre sopravvivo alle tensioni generali
nel sistema accelerato che mi vuole pressare.
Sono con me le parole delle donne
quando terminava la messa, è con me
il sorriso di mia madre, quei canti religiosi
ed i loro rosari come cento perle al tramonto.
La sera nuovamente a casa, tra le mura amiche,
quando i fratelli in giardino attendevano
che mio padre preparasse la cena.
Il cane irrequieto intanto confessava
l’esistenza di quei remoti sussurri,
con uno sguardo intenso e preciso
di cui io solo coglievo l’esistenza.
#VincenzoMariaD’Ascanio
Alle novene del Santo.
Mia madre era fermamente religiosa.
Sul finire della Primavera, a Maggio,
m’accompagnava alle Novene del Santo,
un Santo forestiero, forse agricoltore,
considerato che la Chiesa si trovava
in aperta campagna, tra i monti dell’interno.
Per arrivarvi un viaggio in corriera
tra un recinto pio di donne
puntualmente vestite di nero.
Intonavano antichi canti religiosi
per un marito estinto anni prima,
ma di cui custodivano tenaci
un indelebile e lucente ricordo.
Quei canti avevano il mistero d’un vascello
talmente potenti da scolpirmi il cuore,
e sono tuttora perfetti nella mia coscienza
come un timbro di fuoco indelebile.
Quando poi era celebrata la messa
io preferivo giocare nei campi,
tra i monti, il cielo e gli infiniti spazi
che formavano quella landa desolata.
Soltanto il vento stava ad osservarmi
e forse mormorava qualcosa,
sussurri inerti suggeriti dai monti,
presentimenti e presenze impenetrabili
chiare soltanto all’emotività di un bimbo.
Regnava la solitudine, tutto era roccioso
e nonostante volessi andarmene
restavo in muta contemplazione, attento,
ed i monti si facevano spazio
insieme ad alberi, quarzo, fiori e profumi.
Sono ancora con me in questi giorni
di contraddizioni e responsabilità,
della terra sento ancora il profumo,
avverto quei sussurri provenienti dai monti
mentre sopravvivo alle tensioni generali
nel sistema accelerato che mi vuole pressare.
Sono con me le parole delle donne
quando terminava la messa, è con me
il sorriso di mia madre, quei canti religiosi
ed i loro rosari come cento perle al tramonto.
La sera nuovamente a casa, tra le mura amiche,
quando i fratelli in giardino attendevano
che mio padre preparasse la cena.
Il cane irrequieto intanto confessava
l’esistenza di quei remoti sussurri,
con uno sguardo intenso e preciso
di cui io solo coglievo l’esistenza.
#VincenzoMariaD’Ascanio
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